VIAGGIO ALLA SCOPERTA DEL BEL PAESE
Perdersi tra le bellezze d’Italia, senza perdersi il meglio.
A tavola sui Colli Bolognesi

La biodiversità nella cucina di Alberto Bettini

Alberto Bettini, patron della celebre Trattoria Amerigo 1934, stella Michelin dei Colli Bolognesi dal 1998, ci racconta il suo legame con il territorio e la sua filosofia in cucina.

Alberto Bettini
© Lido Vannucchi

Parlare di cucina con Alberto Bettini equivale a sondarne gli archetipi. No, non le ricette, come erroneamente siamo portati a pensare. Qui si tratta di esplorare e avere una forte conoscenza delle materie prime, i veri pilastri di un piatto, che diventa narrazione di un solido quanto benevolo legame con il territorio.

Sì, perché da quando il nonno Amerigo, nel lontano 1934, ha fondato a Savigno l’allora osteria, alla quale nel Dopoguerra si aggiunsero la sala per la ristorazione e quella con la TV a disposizione di tutto il paese, ciò che è rimasta inalterata è certamente l’idea di accoglienza, che si traduce in amore per ciò che il territorio circostante offre. Quasi a ricambiarne l’affetto che, negli anni, si è consolidato ed è cresciuto assieme al costante impegno di Alberto per portare avanti una tradizione permeata dalla sua filosofia, che punta su produzioni, allevamenti e coltivazioni sostenibili. Da Amerigo, accanto alle ricette classiche, sono nati piatti innovativi, sempre nel massimo rispetto per le materie prime, per la stagionalità e le caratteristiche di ogni ingrediente, sempre trattato con estrema cura. È questo il modo Alberto Bettini di rappresentare la tradizione del futuro, fatta bene e con attenzione.

 

Come è nata questa sua passione per la cucina e in cosa si differenzia rispetto al passato della sua famiglia?

È stata una passione nata senza fretta, se devo essere sincero. Mio nonno ha aperto il ristorante nel 1934, era l’attività di famiglia, quindi io sono cresciuto in trattoria e per me è sempre stata “casa”, anzi, la cucina di casa. Non si viveva una vita normale e, come succede per tutte quelle cose che ti trovi a vivere senza volerle, da ragazzo, non ti suscitano alcun tipo di interesse. Non avevo intenzione di proseguire l’attività di famiglia, quindi inizialmente la mia strada è stata diversa. Volevo iscrivermi ad architettura, poi per vari motivi mi sono trovato a lavorare nel mondo della moda per circa 7 anni, fino al 1987, quando i miei nonni hanno deciso di cedere l’attività. Io ero un po’ stanco di girare e anche di quel mondo un po’ troppo effimero, quale era la moda. Vedevo la cucina come una cosa più concreta, rispetto a come è diventata oggi. Girando il mondo, mi era nata una passione per il cibo, dato che ho avuto la fortuna di frequentare tanti ristoranti interessanti; ho quindi deciso di reinterpretare la trattoria di famiglia in una chiave un po’ più contemporanea.
Erano gli anni in cui nasceva Slow Food, il Gambero Rosso e io volevo dare una rimodernata totale, non una rilettura superficiale delle ricette e dei modi. Volevo portare un locale di campagna ad essere un testimone della campagna stessa, lavorando sulle materie prime e sulle idee, piuttosto che sulla rielaborazione estrema delle ricette. Lo trovo inutile: le ricette, o sono nuove, o sono rigorose. Cambiare delle cose che fanno parte del DNA, solo per puro esercizio, non è per me interessante.

 

Infatti nel suo fare cucina c’è tutto il legame con il territorio e la tradizione…

Sì, e non è un caso. La prima operazione che ho fatto è stata creare una carta dei vini, inizialmente solo dei Colli Bolognesi, ed era una cosa che non faceva nessuno, in quel momento. Molti dei ristoranti della zona non avevano in carta nemmeno un vino dei Colli, erano etichette completamente snobbate. È stata un’operazione volta a valorizzare il territorio, voluta da me, in sinergia con i produttori. Abbiamo poi cominciato anche ad andare in giro per l’Italia, io feci corsi di degustazione, da sommelier e, già dal 1990, cominciai un lavoro parallelo come degustatore per la Guida ai Vini d’Italia. Collaboravo con il Gambero Rosso e con Slow Food – continua Alberto Bettini – e da lì arrivai alla materia prima. Questo passo significava cambiare pressoché tutti i fornitori che aveva mio nonno, perché, pur essendo contadini locali, mi ero accorto che lavoravano in un modo quasi industriale. Ho cercato quindi di far cambiare loro idea, di parlare con le nuove generazioni, ricreando in questo modo una rete locale sempre più interessante. In 30 anni e passa, si è arrivati a una quasi totale autonomia sulle materie prime, anche se questo vuol dire che in alcuni momenti il menù ha necessariamente meno ingredienti rispetto a quelli che potrebbe avere acquistando dai distributori convenzionali. Ma questa è la base della nostra idea di cucina.

 

Di strada il locale ne ha fatta molta, tanto da conservare fino ai giorni nostri la Stella Michelin conquistata nel 1998. Cos’è cambiato in questo tempo?

Pressoché tutto: in 25 anni la cucina si è evoluta sempre in meglio, secondo me, sostituendo man mano ingredienti che ci soddisfavano meno con altri che erano pienamente in linea con la nostra filosofia, per quanto riguarda le ricette tradizionali. Inoltre, inserendo piatti innovativi fatti con ingredienti locali e accoppiandoli in modo nuovo e inusuale, il ché ci ha portati poi a creare qualche nuovo classico, quindi qualche piatto che è stato introdotto ora, fra 10 anni sarà, nella mia idea, codificato come un piatto locale. Le tradizioni sono nulla rispetto alla storia della cucina; pensiamo alle tagliatelle alla bolognese: per come le conosciamo oggi, è un piatto che non può avere più di 150 anni. Le tradizioni sono la cosa più sovrastimata della cucina, che invece è una continua evoluzione. Ogni famiglia ha una sua ricetta per le tagliatelle al ragù, chiaramente, ma le ricette contano zero. Ciò che conta sono gli ingredienti, le materie prime; è questo il vero legame con il territorio.

 

La bottega secondo Alberto Bettini: la “Dispensa di Amerigo”

Lasciamo Alberto Bettini ai suoi impegni e ci avviciniamo alla zona della bottega, posta di fronte all’ingresso della trattoria. Da diversi anni, infatti, qui si è recuperata la consuetudine di paese di unire alla ristorazione la vendita di prodotti locali. Una selezione di vini, salumi e formaggi si affianca alla vasta gamma dei prodotti della “Dispensa di Amerigo”, nata nel 1996 per conservare in vaso sapori autentici, che rispecchiano il territorio, da gustare a casa propria. Partendo dai sughi “Ricette dall’Emilia Romagna”, di verdure, funghi, prosciutto o salsiccia con cipolla dorata di Medicina, la scelta è davvero infinita. Ovviamente non può mancare il ragù tradizionale, storico, di carne di razza bianca modenese e mora romagnola, così come quelli di selvaggina, ma i confini si allargano, seducenti, con i sughi “Ricette dall’Italia”: Cacio e Pepe, Carbonara, Amatriciana, Puttanesca e Arrabbiata. E ancora la pasta a lavorazione semi-integrale, realizzata a km0 in Emilia Romagna, le salse, le creme spalmabili, le verdure sott’olio e sott’aceto, fino ad arrivare agli aceti, la saba di mosto cotto e i liquori. Tutti da provare!

E, per chi vuole ricreare una ricetta di questo santuario del gusto quale è Amerigo, ecco una ricetta che ci ha gentilmente donato Alberto Bettini: Tortelli con crema di parmigiano al prosciutto di mora cotto nel forno a legna.