Tutti, almeno una volta, abbiamo compiuto il liberatorio gesto di rompere un uovo di cioccolato per Pasqua, ma quanti di noi hanno avuto il piacere, nonché l’onore, di affettare una maestosa pastiera napoletana? In verità, questo dolce è ormai molto diffuso in tutta Italia, ma è anche vero che si tratta di un’espansione piuttosto recente. Basti pensare che, qualche anno fa, quando ci si recava in qualche supermercato del nord alla ricerca del famoso grano cotto per la sua preparazione, i commessi strabuzzavano gli occhi, iniziavano a grattarsi il capo e a lasciarsi andare a vistosi cenni di disagio, invocando l’aiuto del caponegozio, tanta era poco nota la suddetta materia. Materia nel senso di ingrediente, ma anche di tradizione partenopea.
La buona sorte è corsa in nostro aiuto, forse anche grazie al dilagare di fenomeni come il foodporn e l’infuocato blogging culinario e, magia: la pastiera non è più merce rara, Sacro Graal destinato al solo uso e consumo di chi ha la fortuna di affacciarsi ogni giorno sul Golfo di Napoli, il luogo prescelto dalla sirena Partenope che avrà una voce determinante in questa storia. E no, non si tratta di un canto ammaliatore come quello delle sirene dell’Odissea: la sua è una voce benevola, che canta note speziate e aromatiche.
La leggenda della nascita della pastiera napoletana
Si narra infatti che la sirena Partenope avesse scelto come dimora proprio il Golfo di Napoli, da dove si spandeva la sua melodiosa voce per terre e mari. Per ringraziarla di un tale dono, a loro volta gli abitanti della città erano soliti fare un dono a lei, anzi, 7 doni: la farina, simbolo di ricchezza; la ricotta, simbolo di abbondanza; le uova, un inno alla fertilità; il grano cotto nel latte, metaforicamente la fusione di regno animale e vegetale; i fiori d’arancio, profumo della loro terra; le spezie, omaggio di tutti i incontrati; infine, lo zucchero, un retorico omaggio alla dolcezza del canto della sirena.
Ella, mossa da gratitudine ed euforia, un dì decise di mescolare assieme tutti questi ingredienti ed ecco che nacque la pastiera.
Sette come i doni sono anche le strisce che ricoprono la superficie della pastiera napoletana. E aanche qui possiamo sconfinare nella notte dei tempi e nella leggenda.
Una spiegazione sarebbe quella che le 7 strisce di frolla riprodurrebbero esattamente la planimetria dell’antica città di Neapolis, ovvero il centro storico della Napoli attuale: i tre Decumani e i quattro Cardini della città antica greca. In realtà, sembrerebbe che questa versione sia stata recentemente smentita, ma ancora ci affascina.
Anche sulla ricetta originale c’è un gran parlare, ognuno dice la sua e il dibattito ferve anche in terra partenopea. Convengono tutti col dire, però, che alla base c’è la preparazione di una frolla con farina, uova, strutto (o burro) e zucchero semolato, da sistemare sul “ruoto”. Anche sulla ricotta rigorosamente di pecora non ci si può sbagliare, così come sulla presenza del grano cotto e dell’acqua di fiori d’arancio. Comeper un altro famoso dolce, ma forse ben di più, la lotta riguarda la presenza di frutta candita e della cannella. Un altro terreno di scontro, infine, è quello del trattamento del grano: frullato o a chicchi interi? Noi amiamo la versione salomonica, ovvero quella che opta per metà grano in chicchi e metà frullato.